GIOVANNI D’ERCOLE
NULLA ANDRÀ PERDUTO
Il mio grido di speranza per l’Italia
«Il terremoto d’Abruzzo è la metafora dello sconquasso italiano. Dobbiamo ricostruire sulle macerie per riprenderci il futuro, senza perdere nessun frammento di bontà e di bellezza, affinché nulla vada perduto».
Giovanni D’Ercole
La notte del 6 aprile 2009 un violento terremoto ferì L’Aquila e la terra abruzzese. Il bilancio fu di oltre 300 vittime, 1.600 feriti e miliardi di euro di danni, ma lo squarcio più profondo si aprì nel cuore di tanti uomini e donne, colpiti negli affetti e nei beni più cari.
Pochi mesi dopo, papa Benedetto XVI inviò come vescovo ausiliare nel capoluogo abruzzese Giovanni D’Ercole, uomo di comunicazione, volto noto al pubblico di Rai Due, che da anni segue numeroso la conduzione del programma Sulla via di Damasco.
In quel frangente, monsignor D’Ercole si rivelò anche un vero uomo d’azione. E quando, a oltre un anno di distanza dal terremoto, colse le lamentele della gente per le macerie non ancora rimosse, non ci pensò un attimo: si rimboccò le maniche e imbracciando una pala cominciò a darsi da fare. Ai credenti e non credenti della diocesi aquilana spiegò che questo è il compito della Chiesa: spendersi affinché gli uomini possano sentirla presente, attenta ai bisogni e capace di infondere coraggio.
Nel racconto di quei giorni drammatici, intrecciato alla propria esperienza di uomo e di pastore, D’Ercole scorge nel terremoto dell’Aquila una metafora del disfacimento spirituale e morale della
società italiana e si sente impegnato da credente ad annunciare che si può credere nella speranza, sempre.
Non manca persino di ripercorrere con serenità e coraggio la penosa avventura con la Giustizia che lo ha visto indagato suo malgrado per mesi, e che ora si avvia alla sua conclusione. Si scoprirà allora come chi vuole compiere il bene deve tenersi pronto ad ogni tipo di difficoltà e di incomprensione.
Ma lo sguardo con cui mons. D’Ercole rilegge la vita non si ferma alle vicende aquilane connesse con il post-terremoto. Abbraccia piuttosto un vasto scenario di incontri e di esperienze da cui trae insegnamenti utili che, come un padre, vuole trasmettere alle nuove generazioni, le quali spesso sono impaurite dalle difficoltà e fanno fatica a credere in se stessi. Vuole comunicare ad essi la passione per la vita perché siano intrepidi costruttori del loro destino.
Nulla andrà perduto. Il mio grido di speranza per l’Italia vuole essere allora un seme di speranza per le nuove generazioni non solo dell’Aquila, ma di tutta l’Italia. Nuove generazioni che sono chiamate a prendere in mano con coraggio e con passione il proprio futuro portando avanti i propri sogni e le proprie aspirazioni.
Con questa certezza nel cuore: nulla di tutto ciò che ci capita, se è l’amore a guidarci, andrà perduto!
Giovanni D’Ercole
Nasce a Morino (AQ) nel 1947. Entrato nella congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza Don Orione, viene ordinato sacerdote nel 1974. Conseguito il dottorato in teologia morale presso la Pontificia Università Lateranense, ha vissuto otto anni di esperienza missionaria in Costa d’Avorio. È stato vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, poi capo ufficio della prima sezione degli affari generali della Segreteria di Stato del Vaticano. Infine il 14 novembre 2009 è stato nominato vescovo ausiliare dell’Aquila da papa Benedetto XVI.
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Cari figli! In questo tempo, quando celebrate il giorno di tutti i Santi, chiedete la loro intercessione e preghiere, affinché nella comunione con loro, troviate la pace. I santi siano per voi intercessori ed esempi da imitare per vivere una vita santa. Io sono con voi ed intercedo presso Dio per ciascuno di voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. (Con approvazione ecclesiastica).
continua »"Cari figli! Per amore verso di voi, Dio mi ha inviato in mezzo a voi per amarvi ed esortarvi alla preghiera ed alla conversione, per la pace in voi, nelle vostre famiglie e nel mondo. Figlioli, non dimenticate che la vera pace viene soltanto, attraverso la preghiera, da Dio che è la vostra pace. Grazie per aver risposto alla mia chiamata." (Con approvazione ecclesiastica).
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